Mario
Luzi

Semproniano

Mario Luzi nacque a Castello, vicino a Firenze, nel 1914. Si laurea in letteratura francese con una tesi su François Mauriac. Nel 1935 pubblica la sua prima raccolta di versi, La Barca. Lo studio dei francesi e la presenza dell’Ermetismo sulla scena letteraria di quegli anni sono determinanti nell’orientare la sua prima produzione poetica. Alle raccolte apparse negli anni Quaranta (Avvento notturno, 1940; Un brindisi, 1946; Quaderno gotico, 1947), seguirono Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957) e Nel magma (1963), in cui la ricerca dell’essenza e dell’interiorità s’intreccia con il senso dell’apparire: “È una vaga figura, non ha requie… / […] per vie cupe ove niente vive più, / niente se non la speranza del tuono”. Nelle raccolte successive (Su fondamenti invisibili, 1971; Al fuoco della controversia, 1978), matura la forma di una poesia corale dove una tensione espressiva ormai matura lo porta ad interrogarsi sui grandi temi civili e su una visione alta e spirituale del vivere, che caratterizza la produzione in versi e in prosa della maturità e della tarda età.

Nominato senatore a vita nel 2004, Luzi si spegne a Firenze il 28 febbraio 2005. Entrambi i genitori sono maremmani, di Samprugnano (ora Semproniano) e qui Luzi trascorre tutte le estati almeno fino al 1940. Luzi è legatissimo alla madre, che sarà determinante, assieme ad altre esperienze e letture, per l’evoluzione di una sensibilità cristiana: «Mi affascinava il suo trasportare tutte le cose in una interiorità, che forse la società modesta in cui si viveva allora non sentiva come bisogno primario. Il cristianesimo è stato prima di tutto un’ammirazione e una imitazione di mia madre. Io sono entrato per quella porta, che era una porta naturale, ma anche già selettiva. Altre figure di donne di chiesa o l’esperienza catechistica non mi dicevano nulla, anzi di queste ero piuttosto insofferente».

In questo senso quindi, anche attraverso il confronto umano con la figura materna, Semproniano, oltre ad essere il luogo di provenienza dei genitori, sarà anche luogo di ispirazione, legato a una cultura agricola e spirituale che molto conterà nella sua formazione: «Nell’infanzia io avevo come termine di paragone il paese, Samprugnano». Nella poesia Casa per Casa si scopre il senso di questa vicinanza: «È un paese che scorro con la mente / Casa per casa, loculo per loculo: le sue tribolazioni e le sue feste furono d’anno in anno / anche mie spine, anche mio vino». Paese di memorie e presenze che torneranno, nella scommessa del tempo, solo per dichiarare il (possibile) senso della loro sparizione, come si vede in Nella casa di N. compagna di infanzia: «Il vento è un aspro vento di quaresima/ geme dentro le crepe, sotto gli usci / sibila nelle stanze invase, e fugge (…) Io sono qui, persona in una stanza / uomo nel fondo di una casa, ascolto / lo stridere che fa la fiamma, il cuore / che accelera i suoi moti, siedo, attendo. / Tu dove sei? sparita anche la traccia… / Se guardo qui la furia e se più oltre / l’erba, la povertà grigia dei monti».

Paese d’origine che nel tempo apre, come si vede in A mia madre dalla sua casa, anche a una comprensione più profonda dell’esistenza. L’occasione offerta dal ritorno nella casa della madre corrisponde al ritorno nella terra di Maremma: «M’accoglie la tua vecchia, grigia casa / steso supino sopra un letto angusto / forse il tuo letto per tanti anni. Ascolto / conto le ore lentissime a passare / più lente per le nuvole che solcano / queste notti d’agosto in terre avare». Qui i ricordi mischiati al presente assumono una coloritura d’attesa, e di manifestazione di una verità esistenziale da raccogliere in profondità: «Non dormo, seguo il passo del nottambulo / sia demente sia giovane tarato / mentre risuona sopra pietre e ciottoli / lascio e prendo il mio carico servile / e scendo, scendo più che già non sia profondo in questo tempo, in questo popolo». Non è un caso, del resto, che in un articolo giovanile apparso nel “Corriere dell’Adda” del 1953, dal titolo Monte Amiatail non più giovane Luzi, che ha ormai abbandonato i luoghi d’origine, ritorni in modo significativo sullo stesso rapporto con un sovrappiù di consapevolezza: «Il ragazzo del paese sogna invece di evadere nella città come già hanno fatto tanti altri prima di lui, talvolta con un certo profitto, ma in ogni caso non potrà veramente staccarsene, continuerà a far parte del corpo vivente della comunità portandosela nel pensiero, restando nella memoria ininterrotta del borgo che tramanda tutto senza nulla disperdere. Per ora l’uno e l’altro vivono insieme la loro perfetta terrestrità avventurandosi sugli scoscendimenti, infrascandosi nel sottobosco o penetrando dai minuscoli cancelli di legno nella vigna, nel campicello dove la vasca occhieggia di sotto le frasche e spiccano i frutti per la loro merenda. Poi quando le ombre profonde si sono mosse e fatte turchine rientrano e si soffermano nella piazza, fanno cerchio anche loro intorno ai vecchi solenni seduti sul muricciolo o sui gradini delle scalinate sotto il cielo ancora acceso narrano storie di altre età e distillano l’antica e perenne sapienza della stirpe.»