Giorgio Caproni, una delle voci più raffinate e intense della poesia italiana del Novecento, nasce il 7 gennaio 1912 a Livorno, in una famiglia di modeste condizioni economiche. La sua produzione poetica, intrisa di una profonda sensibilità umana e di un’acuta consapevolezza esistenziale, ha saputo esplorare tematiche universali come la solitudine, il dolore, la morte e la ricerca di senso, elevandolo a figura centrale nel panorama letterario italiano. La sua vita, segnata da esperienze difficili e da profondi legami affettivi, è stata determinante per comprendere l’essenza della sua poetica. Caproni trascorre i primi anni della sua vita a Livorno, città che rimarrà sempre nel suo cuore e nelle sue opere. La madre, Anna Picchi, una figura centrale nella sua formazione emotiva e poetica, sarà il simbolo di un affetto struggente che accompagnerà il poeta per tutta la vita.

Nel 1922, la famiglia si trasferisce a Genova, città che Caproni considererà una seconda patria e che influenzerà profondamente la sua produzione poetica. Qui Caproni si avvicina al mondo della letteratura, dimostrando sin da giovane una grande passione per la lettura. Legge avidamente i classici italiani e francesi, e in particolare rimane affascinato dalla poesia di Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé, influenze che si rifletteranno nella sua ricerca formale e tematica. Caproni si avvicina anche alla musica, un’altra grande passione che lo accompagnerà per tutta la vita. Questo interesse per la musica, soprattutto per il violino, alimenta la sua sensibilità verso il ritmo e la musicalità del verso, elementi distintivi della sua poetica.
Nel 1936, Caproni pubblica la sua prima raccolta di poesie, Come un’allegoria, che però non ottiene molta attenzione critica. Questo esordio, caratterizzato da una vena simbolista e da una certa ricerca espressiva, rappresenta un primo passo verso quella che sarà una carriera letteraria ricca e complessa. Nel 1940, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Caproni viene chiamato alle armi. L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo vede entrare nella Resistenza contro l’occupazione nazifascista. Sempre nel 1947 pubblica Cronistoria, una raccolta che segna un punto di svolta nella sua poetica. In questa opera, Caproni abbandona le suggestioni simboliste per avvicinarsi a una poesia più essenziale e concreta, dove il tema del viaggio diventa centrale e metafora dell’esistenza umana, un percorso incerto e doloroso verso una meta che sembra sfuggente e irraggiungibile.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, dopo il trasferimento a Roma, Caproni pubblica altre raccolte importanti, tra cui Il passaggio d’Enea (1956) e Congedo del viaggiatore cerimonioso (1965), dove il tema del viaggio si fonde con quello del congedo. Il viaggio diventa un cammino verso la morte, l’ultima destinazione di ogni essere umano, ma anche un’occasione per riflettere sulla fragilità e sulla precarietà dell’esistenza. La figura della madre, Anna Picchi, è centrale nella poetica di Caproni. Nella raccolta Il seme del piangere (1959), Caproni dedica alla madre una serie di poesie che sono tra le più toccanti e intime della sua produzione. In queste liriche, la madre diventa il simbolo di un passato perduto, di un mondo affettivo che non può più essere recuperato, ma che continua a vivere nel ricordo e nella parola poetica. La morte, la perdita e il lutto diventano temi ricorrenti nella poesia di Caproni, che esplora il rapporto tra vita e morte con una lucidità e una profondità rare. La sua poesia non offre consolazione o risposte definitive, ma riflette la condizione di incertezza e di dubbio che caratterizza l’esperienza umana. Il senso del mistero e dell’inconoscibilità del reale è sempre presente nella sua opera, che si interroga costantemente sul significato della vita e sull’impossibilità di trovare una verità assoluta.
Negli ultimi anni della sua vita, Caproni raggiunge una piena maturità poetica, pubblicando alcune delle sue opere più importanti e sperimentali. Il muro della terra (1975) e Il franco cacciatore (1982) segnano una svolta verso una poesia più astratta e metafisica, in cui il poeta si confronta con il nulla e con l’assenza di senso. La sua riflessione si fa sempre più amara e disillusa, ma al tempo stesso profondamente umana. Caproni si spegne a Roma il 22 gennaio 1990.

Opera connessa alla Maremma
Giogio Caproni fu definito da Carlo Bo «poeta del sole, della luce e del mare», elementi che possiamo riscontrare anche nelle poesie dedicate alla Maremma. La bellezza selvaggia e l’isolamento rappresentano per Caproni gli elementi costitutivi di un immaginario in cui si concentrano i temi della ricerca esistenziale, della solitudine, del rapporto con la natura, che riflette l’eterna battaglia dell’uomo con il destino e l’incertezza. Già nella raccolta d’esordio, Come un’allegoria (1936), troviamo dei versi dedicati a questa terra, Ricordo di Maremma, poi confluita in Il passaggio d’Enea (1956) con il titolo Sera di Maremma: «Sui prati liberi di primavera/sudano puledri sfrenati/in folli rincorse./In cielo a quest’ora scotta/come la gota d’un bimbo/che ha la febbre.//Di cose labili appare/la terra: di voci e di calde/folate./Bruciano,/così giocondi/roghi, i colori dei giochi/infantili». La Maremma si distingue come un paesaggio apparentemente desolato, ma allo stesso tempo carico di significato. Non si tratta della Maremma turistica o pittoresca, ma di un luogo duro e aspro, dove il poeta si misura con la vastità del territorio e con il senso di smarrimento che ne deriva. In questo scenario naturale Caproni trasfigura i suoi sentimenti di precarietà e incertezza esistenziale, rappresentando la Maremma come una metafora della vita stessa: uno spazio aperto, misterioso e spesso ostile, che invita alla riflessione ma che non offre risposte definitive. Il paesaggio maremmano, con i suoi spazi vuoti, i boschi e i terreni incolti, diventa il teatro di una solitudine che è sia fisica che interiore.
Successivamente, nel 1939, Caproni pubblicò la poesia Alla Maremma nel secondo numero di «Ansedonia. Rivista di letteratura e arte», diretta dal grossetano Antonio Meocci e Geno Pampaloni. In questo testo, confluito in L’opera in versi (1998), Carponi propone un’invocazione alla Maremma, «vergine» «maledetta» e «terra della malaria», che grazie alla bonifica si trasforma in «madre austera» che porge doni «ai figli duri lavoratori». La celebrazione della bonifica e l’allegoria della Maremma si accompagnano all’immagine realistica e caproniana dei cavalli selvaggi, già presente in Ricordo di Maremma.
Aneddoto
Nel 1940 Caproni collaborò alla seconda serie della rivista «Ansedonia», che nel 1941 cambiò nome in «Lettere d’Oggi. Rivista mensile di letteratura», perdendo la sua connotazione localistica. Fu nella redazione della rivista che nel 1942 conobbe Carlo Cassola, che ne riportava un’ottima impressione.