Dante Alighieri (Firenze 1265, Ravenna 1321) parla della Maremma in più occasioni, descrivendola come intricata, selvaggia e difficile da attraversare o da governare, nel suo capolavoro, La Divina Commedia. La nostra terra è dipinta come vittima della corruzione e della decadenza politica delle famiglie nobili italiane. I suoi antichi padroni, i conti Aldobrandeschi di Santa Fiora, sono ormai decaduti, schiacciati dalla potenza del giovane comune di Siena.
La Maremma del Medioevo era un’area inospitale, riempita di macchie impenetrabili e paludi nefaste ed insalubri. Quando Dante descrive la selva dei suicidi, il girone infernale in cui i violenti contro se stessi subiscono la punizione della trasformazione in alberi “nodosi e involti”, il termine di paragone immediato è il lucus maremmano, intercettato nei suoi limiti estremi, Cecina e Corneto: “non han sì aspri sterpi né sì folti/ quelle fiere selvagge che ‘n odio hanno/ tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.”..

Gli acquitrini, le distese di acqua ferma, gemellano simbolicamente malaria e Maremma, attraverso i suoi orridi abitanti, le bisce che infestano la bolgia dei ladri, così numerose che Dante afferma senza dubbi che “Maremma non cred’io che tante n’abbia”.
La triste fama di luogo nefasto e impervio è poi ricordata in If XXIX, quando Dante descrive gli orrori della decima bolgia, in cui lo spettacolo di sofferenza non si vedrebbe neppure se “e di Maremma e di Sardigna i mali/ fossero in una fossa tutti ‘nsembre”.
Santa Fiora, nel Medioevo contea Aldobrandesca e quindi ghibellina, è citata da Dante Alighieri nel VI canto del Purgatorio della Divina Commedia, citazione che nel corso della storia è stata riportata in almeno tre differenti versioni (com’è oscura; com’è sicura; come si cura), anche se la più probabile resta la seguente:
“Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
d’i tuoi gentili, e cura lor magagne
e vedrai Santafior com’è oscura!”
(Purgatorio, VI, v. 111)
Dante deplora la politica dell’Imperatore Alberto d’Asburgo che trascura i comuni italiani. Dante, in particolare, si riferisce alla città come esempio del potere ghibellino ormai in decadenza, rappresentato dalla famiglia degli Aldobrandeschi, antichi signori del luogo.

Oggi Santa Fiora è uno splendido borgo del Monte Amiata, ricco di attrazioni e attività, ma il ricordo della citazione è ancora presente nella piazza centrale: qui infatti è affissa una targa rettangolare che accoglie i visitatori riportando il verso dantesco.