Eugenio
Montale

Arcidosso

Tra gli anni Dieci e anni Venti, Eugenio Montale (1896-1981) è un ragioniere inquieto con la passione per la musica e la poesia. Anche se a Genova si confronta con i principali personaggi della cultura cittadina (Angelo Barile, Adriano Grande, Mario Bonzi), si sente isolato ed è perennemente insoddisfatto. La prima vera scossa la riceve dagli stimoli di Bobi Bazlen, che nel 1923 arriva a Genova per lavorare negli uffici della Atlantic Refining Company della famiglia Psyllas. È anche grazie a lui che Montale, nel 1927, lascia la città natale e si trasferisce in quella che negli anni Trenta è senza dubbio la capitale letteraria d’Italia: Firenze, che proprio Montale qualificherà come «terraferma della cultura, delle idee, della tradizione» e come luogo dove passò «i più importanti» anni della sua vita «sotto il profilo della maturazione culturale». A Firenze conosce, proprio nel 1927, Drusilla Tanzi, la futura musa e compagna di vita cui darà il nomignolo di Mosca. La prima opera di Montale è stata quindi di tipo esistenziale: risale a quando prendendo il coraggio a quattro mani riscrive un destino già segnato da triste e solitario contabile della ditta di famiglia. La prima opera poetica invece è un’altra, risale al 1925 e cambierà il corso della poesia a venire: Ossi di seppia. A Firenze Montale lavora da Bemporad, frequenta il vivace gruppo della rivista «Solaria» e stringe molto presto amicizia con Bonaventura Tecchi, di cui, dal 1929 al 1938, prende il posto alla direzione del Gabinetto Vieusseux.

Nel 1939, complice Gianfranco Contini, pubblica con Einaudi la seconda raccolta poetica, Le occasioni, dove varie muse si intrecciano e confondono (Lucia Rodocanachi, Drusilla Tanzi e soprattutto Irma Brandeis). A Firenze frequenta i caffè letterari più celebri (come quello delle Giubbe Rosse, ai cui tavolini trova, tra gli altri, Palazzeschi, Vittorini, Gadda, Quasimodo, o come il caffè Pazskowski, frequentato da una fazione letteraria diversa, quella costituita dai selvaggi e dagli ex-rondisti: Malaparte, Bacchelli, Rosai, Baldini), diventandone una colonna portante. Nel 1945, come molti intellettuali, mette la sua firma sulla tessera del Partito d’Azione, e contribuisce a fondare «Il Mondo»; inizia anche a dipingere, dopo i calorosi inviti di Raffaele De Grada (in questo preceduto solo da Sebastiano Timpanaro, che consigliò a Montale, anni prima, di cimentarsi nell’incisione: Timpanaro fu forse il primo estimatore del Montale artista).

Nel 1948 si trasferisce a Milano con Drusilla Tanzi (di cui diventerà marito ufficialmente nel 1962) per lavorare come redattore (fino al 1973) al «Corriere della Sera» (viene assunto dall’allora direttore Guglielmo Emmanuel). Al 1949 risale un altro incontro che lo scuote, quello con la poetessa torinese Maria Luisa Spaziani, da allora in poi soprannominata da Montale la Volpe. Ma anche questa volta, forse per mancanza di coraggio, forse per incapacità, o forse, come ha detto qualcuno, per inettitudine, Montale torna sui suoi passi, preferendo di nuovo la stabilità offerta dalla relazione con la Mosca.

Nel 1956, da Neri Pozza, esce la terza e significativa raccolta poetica: La bufera e altro. Conquistata definitivamente la stabilità economica, di cui Montale, da buon genovese, come sostengono i più sarcastici, ha sempre sentito un bisogno ossessivo, anche la scrittura si infittisce. Non solo quella giornalistica (poi raccolta in volume da Giorgio Zampa con il titolo Il secondo mestiere), ma anche quella creativa.

Nel 1971 appare Satura, la cui ironica ingegnosità si impone di nuovo nel panorama poetico italiano; nel 1973 esce il Diario del ’71 e del ’72, cui seguirà nel 1977 il Quaderno di quattro anni. Montale è stato anche traduttore (si veda il Quaderno di traduzioni, uscito nel 1948 per le Edizioni della Meridiana), prosatore (si ricordi almeno la Farfalla di Dinard del 1956, pubblicato per i tipi di Neri Pozza) e saggista dal fine intuito critico: è lui che fa conoscere agli italiani, grazie a Bazlen, l’allora ignorato Italo Svevo. Nel 1967 è nominato senatore a vita. Nel 1975, dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, dice al mondo che la poesia, per fortuna, «non è una merce». Si spegne a Milano il 12 settembre del 1981.

Le occasioni sono la seconda raccolta di Eugenio Montale. Escono nel 1939 per Einaudi (sempre a Torino, era uscita, ma da Piero Gobetti, nel 1925, la raccolta d’esordio Ossi di seppia). Le occasioni appartengono ormai abbastanza indiscutibilmente all’olimpo della poesia occidentale del Novecento. È interessante notare che, pur essendo Irma Brandeis l’ispiratrice principale della raccolta, dove assume il nome fittizio di Clizia, Montale inserisca la dedica esplicita «a I. B.» solo a partire dalla sesta edizione del 1949 (la prima per Mondadori): l’occultamento e lo svelamento sono gesti importanti perché rispondono a una strategia precisa (non solo di matrice poetica). Irma Brandeis (New York, 1905-1990), quando giunge dagli Stati Uniti a Firenze nel 1933 per studiare Dante, vuole conoscere Montale, perché è rimasta molto positivamente colpita dalla lettura degli Ossi di seppia. È per questo che si incontrano. Irma Brandeis è stata una figura decisiva, non solo perché porta Montale, per la prima volta nella vita, a patire una vera, tumultuosa e destabilizzante esperienza d’amore, ma anche perché gli apre la possibilità di lasciare l’Italia, un paese che lo soffoca da tempo, e innesca in lui l’interesse per la cultura americana (la cui letteratura, proprio in quegli anni, si inizia a studiare e tradurre con un certo fervore). Montale, alla fine, non parte con Irma e resta in Italia, a Firenze, tra le certezze garantite dalla fedele Drusilla.

Le poesie delle Occasioni sono state scritte tra il 1928 e il 1939, e per la maggior parte in un clima politico terribile. Ma eccettuato il poemetto Tempi di Bellosguardo (cha fa da pendant con le Notizie dall’Amiata) la Storia estrinseca non è mai tematizzata. È la sfera privata che conta, e sezioni memorabili come i Mottetti lo dimostrano. Le occasioni sono un momento di svolta, perché con esse Montale approda a un’idea di tu poetico ben definita: è la versione moderna della donna-angelo, salvifica esattamente come quella stilnovista, ma sganciata da ogni teologia. La raccolta si chiude con le Notizie dall’Amiata, un trittico scritto alla fine del 1938, in un periodo infausto per Montale: nell’ottobre del 1938 muore la sorella Marianna; a dicembre viene licenziato dal Gabinetto Vieusseux; Irma torna negli Stati Uniti. Il lutto della prima persona che ha creduto nelle sue qualità di poeta, la perdita del lavoro e un addio che lo frastorna, a cui vanno aggiunti i fatti esterni, quelli storici, non meno atroci: le leggi razziali e l’accordo di Monaco, entrambi del settembre del 1938; è quanto di peggio possa capitare a un uomo.

Le Notizie sono importanti da molti punti di vista. Quello relativo alla stratificazione simbolica è forse uno dei più interessanti. Montale oppone lo scenario amiatino, percepito come arcaico, cristiano e romanico, a quello classicistico, rinascimentale, pagano e insopportabile, perché legato al dovere, alla routine e alla precarietà economica ed esistenziale, di Firenze. Un’opposizione che si fa certamente anche figura dello stato del rapporto con Irma Brandeis: è il riflesso non solo della dimensione terrena in cui è impantanato il poeta, contraria a quella angelica della donna amata, ma anche il riflesso dell’impossibilità sostanziale della loro riconciliazione (le probabilità di ricongiungersi sono le stesse che si avrebbero se si tentasse di fondere realmente due spazi così lontani e diversi come il capoluogo toscano e il monte Amiata).

Ma l’Amiata suggerisce anche altro a Montale. Non è da dimenticare che dal punto di vista geologico l’Amiata è un vulcano spento. Questa sua natura rispecchia a vari livelli la situazione in cui si trova il poeta: una persona che dovendo dissimulare l’amore che ribolle sotto la cute è obbligato a comportarsi, soprattutto in società, come se quell’amore fosse spento (ufficialmente Montale è il compagno di un’altra donna); una persona che, non riuscendo ad assecondarlo del tutto, reagisce a quell’amore tappandolo, bloccandone ogni ipotesi di eruzione (fuor di metafora: Montale non riesce a staccarsi dall’Italia e a seguire Clizia, l’amore, in America). Questa generale tendenza all’affievolimento risuona fin da subito nel trittico, basti leggere l’attacco: «Il fuoco d’artifizio del maltempo / sarà murmure d’arnie a tarda sera»; che si potrebbe parafrasare in questi termini: il temporale si placherà tra qualche ora, e da evento rumoroso e perciò preoccupante, diventerà poco più che un ronzio innocuo e tollerabile di api. L’Amiata, dunque, definito da Montale, al verso 7, un «cono diafano», ha una valenza sia biografica (l’allontanamento, per non dira fuga, da una città divenuta insostenibile) sia metaforica. Ne va considerata almeno un’altra, quella spirituale. Se Firenze è l’emblema della razionalità e del calcolo, l’Amiata è percepito come un luogo quasi mistico, denso di spiritualità, e perciò il più giusto per avvicinarsi a una creatura semi-divina come Clizia. Non è forse un caso che proprio spiritualmente lo interpretò e visse, prima di lui, il predicatore Davide Lazzaretti, che Montale ha probabilmente scoperto leggendo il libro Monte Amiata e il suo profeta del filosofo di Piancastagnaio Giacomo Barzellotti.

Le Notizie dall’Amiata sono state definite «dramma privato» e «romanzetto autobiografico» per la componente narrativa che le contraddistingue. Notizie sta per lettera e reportage cifrato. La destinataria, Irma Brandeis, quando il poeta scrive, è da poco tornata nel paese dov’è nata, l’America, lasciando lui e l’Italia per sempre. I versi «unire la mia veglia al tuo profondo / sonno», così lirici, si riferiscono in realtà, più prosaicamente, al fuso orario che li separa.