Madame
De Staël

Orbetello

Madame De Staël nacque a Parigi da una famiglia ricca e influente, figlia del ministro delle finanze di Luigi XVI Jacques Necker. Dopo una precoce formazione avvenuta negli anni della rivoluzione francese, e il confronto determinante con i principi liberali di Jean-Jacques Rousseau, diventa celebre per aver ospitato uno dei più importanti salotti letterari e artistici della Parigi dell’Ancien Régime. Ben presto il salotto diventa il luogo d’elaborazione di ideali capaci più o meno apertamente di infastidire Napoleone, il quale aveva già avuto modo di farsi conoscere dalla Stael che almeno inizialmente, era riuscita ad apprezzare e ammirare le qualità «ineguagliabili» del giovane corso. Con la pubblicazione del romanzo Delphine nel 1803, che contribuisce a definire il prototipo della donna libera e combattiva capace di lottare contro i pregiudizi e la sofferenza dell’amore, l’autrice raggiunge una notorietà importante. Questo però favorirà l’ostilità di Napoleone che la costringerà a fuggire da Parigi. Avvierà così dei viaggi tra Germania e Italia che saranno importanti per l’elaborazione di opere come Corinne ou de l’Italie (1807) o De l’Allemagne (1810), dove una sensibilità romantica incontra considerazioni numerose sul pensiero e sull’arte.

In alcune delle opere pubblicate dopo l’esilio, riprendendo le idee di Diderot e Montesquieu, sostiene l’esistenza di un progresso lento e costante in grado di condurre il pensiero e le arti verso la perfezione, e descrive anche l’effetto dell’ambiente e del clima sullo sviluppo delle diverse letterature. Arriva così a dedurre la superiorità delle civiltà del Nord su quelle del Sud. Dopo diversi viaggi nei paesi europei e un ritorno tardivo in Francia morì a Parigi nel 1817. Eppure, da altri punti di vista, il rapporto con la cultura mediterranea, pur innervato da una sensibilità romantica, continua ad essere importante. Già in Delphinel’Italia è una presenza indiretta ma costante che si concentra spesso attorno agli eventi che ruotano attorno alla protagonista. Il personaggio di Madame l’Albémar, ad esempio, commenta l’intenzione di recarsi in Toscana, paese visitato durante l’infanzia e più volte ricordato, in maniera contraddittoria: «En toscane! Porquoi? Répondit-elle; je serois bien fâchée d’aller en Italie: c’est lorsque maman a tant aimé ce pays-là que nous avons été si malheureux».

Il confronto con l’Italia è ancora determinante, come accade in Corinne, per la messa in scena di un dramma sentimentale, ma anche per la maturazione artistica dell’autrice. Mentre città come Venezia e Bologna suggeriscono solo idee malinconiche a causa della storia d’amore della protagonista, le terre di Maremma, immaginate e non vissute, permettono di concentrarsi sul «vero piacere di ascoltare anche chi proviene dalle classi più basse» perché l’ascolto, nella sua spontaneità, rivela l’illusione «di credersi in mezzo a una nazione dove tutti gli individui saranno educati allo stesso livello». La grandiosità di Roma, che rivela un «mondo animato dal sentimento, senza il quale il mondo stesso è un deserto», non basta ad ignorare la vera realtà della città che, come osservava anche lo stesso Leopardi, è capace, più delle altre, di mostrare «il triste aspetto della miseria e della decadenza».

Decadenza che però, in linea con la concezione romantica dell’autrice, è anche opportunità di conoscenza, dal momento in cui «una colonna spezzata, un bassorilievo semidistrutto, delle pietre connesse nel modo indistruttibile degli antichi architetti, vi ricordano che nell’uomo c’è una potenza eterna, una scintilla divina e che non bisogna stancarsi di ravvivarla in noi e accenderla negli altri». Il piacere dell’ascolto e della percezione delle bellezze naturali nel paesaggio toscano sembrano essere poi talmente forti, agli occhi di una protagonista sentimentalmente esaltata, da riuscire addirittura a proiettare, per desiderio d’armonia, verso il mondo classico e addirittura verso Atene. Le espressioni toscane, «piene d’immaginazione e d’eleganza, donano l’idea di piacere che si poteva provare davanti alla villa d’Atene, quando il popolo parlava un greco così armonioso che era come una musica continua». In realtà le considerazioni dell’autrice saranno molto meno lusinghiere, se è vero che «luoghi paludosi e malsani del settentrione si fanno annunciare dall’aspetto spaventoso, ma nelle contrade più funeste del mezzogiorno la natura conserva una serenità, la cui dolcezza ingannevole illude il viaggiatore.»