Federigo Tozzi nacque a Siena nel 1883. Compì studi irregolari ed ebbe una giovinezza e adolescenza inquieta, soprattutto a causa dei numerosi scontri con il padre, gestore di una trattoria senese. Fin dal 1898, nonostante una carriera scolastica contrastata, inizia a frequentare assiduamente la biblioteca degli Intronati, dove imposta la sua cultura da autodidatta leggendo classici e contemporanei, da Petrarca a De Amicis, da Sterne a Goldoni e Ibsen.

Dopo una breve esperienza politico-lavorativa, con l’adesione nel 1901 al Partito Socialista dei Lavoratori italiani e il matrimonio nel 1907 con Emma Palagi, si intensificano le sue letture secondo filoni di ricerca più definiti (Lombroso, Darwin, Buchner) e inizia un periodo di spostamenti frequenti tra Siena (e le proprietà paterne), e Roma, dove la moglie risiede e lavora. Dopo la morte del padre e la liquidazione della sua eredità l’idea definitiva del trasferimento può realizzarsi a partire dal 1914 nel tentativo di perfezionare i contatti con il mondo letterario. Lì, oltre alla frequentazione di Grazia Deledda, Goffredo Bellonci, Sibilla Aleramo e Marino Moretti inizia il lavoro giornalistico e ufficialmente la carriera letteraria.
Con la fine del primo conflitto mondiale, che lo vede intensificare la sua produzione, Tozzi continua parallelamente a lavorare al «Messaggero della Domenica» e alla terza pagina del «Tempo». Nel periodo di tempo compreso tra il 1917 e il 1920 pubblica poi una raccolta di prose, Bestie, e due romanzi, Con gli occhi chiusi e Tre croci, che sono considerati tra i testi più significativi della sua produzione. Con la ridefinizione dei testi di Tre croci e la correzione delle bozze del Podere, Tozzi tenta una prima sistemazione organica del suo lavoro, che viene interrotta però dalla morte sopraggiunta nel 1920 per polmonite. In Bestieil registro lirico rende il paesaggio di Maremma uno spazio utile per configurare rimpianto e ricordo: «E tutte queste case del paese, che ci sono non si sa perché; con le strade lontane per la maremma di Grosseto e verso Siena; e si sperdono, giù per le vallate, dopo dieci o quindici chilometri, le strade che aspettano».

In particolare, la vecchia casa del padre a Pari, «tra le boscaglie fitte di cinghiali, nella casa di pietre scheggiate, con la scala che si moveva sotto i piedi, fatta con i sassi presi dal fiume» è un rudere che, in Con gli occhi chiusi, merita al massimo di essere dimenticato, ed è interessante in questo senso il parallelo evidente tra i ricordi della giovinezza, la grettezza utilitaristica del Rosi, padre del protagonista, e il ricordo d’infanzia legato alla Maremma : «E il Rosi pensava al suo paese troppo angusto come una cosa che non esistesse più, o almeno soltanto per gli altri: i ricordi della giovinezza avevano la stessa importanza dei teatri e delle figure dei giornali, che egli odiava con disprezzo: stupidaggini piacevoli per gli sfaccendati, che avevano soldi da buttar via».
Ne Il Podere poi, le difficoltà di gestione economica di un vecchio podere lasciato dal padre rendono il protagonista Remigio sfiancato come un «vitello macilento e debole, uno di quei vitelli che portano di Maremma», e l’incapacità di gestione delle proprietà è un tratto caratterizzante che qualifica Remigio, nel rapporto familiare, come un figlio degenere, perché «quando un podere passa nelle mani di un altro proprietario che non sia uno sciocco, comincia presto a modificarsi in modo visibile agli occhi di coloro che se n’intendono e poi di tutti». Il podere che è simbolo paterno, ma proprio per questo rapporto asimmetrico, è anche un segno di morte: «Guardò il podere, giù lungo la tressa; e dov’era già buio. E gli parve che la morte fosse lì; che poteva venire fino a lui, come il vento che faceva cigolare i cipressi». E come nel rapporto tra fratelli il germe dell’odio e della discordia si insinua per un intreccio indissolubile di motivazioni psicologiche e materiali («Ma Enrico diceva (…) quasi sempre: Niccolo non s’è vergognato a mandarmi via e m’ha tolto tutto quello che avevo. Lo divorerei vivo con il mio odio. A tal carne, tal coltello!»), in questo rapporto con la Maremma si vede la vicinanza e la distanza tra padre e figlio perché «Come i figli assomigliano i padri, e la carne nasce medesima dalla carne, così l’anime dalle anime».