Rutilio
Namaziano

Porto Ercole

La figura di Rutilio Namaziano offre una testimonianza unica e insostituibile del territorio maremmano nell’antichità, delineando un quadro vivido e personale di una terra affascinante e mutevole. Se è vero che la Maremma viene menzionata già in precedenza da autori come Cicerone e Plinio il Vecchio, è altrettanto innegabile che le loro note rimangono tangenziali. Al contrario, il racconto che ci offre Namaziano è ricco di dettagli e animato da una profonda sensibilità personale, un riferimento insostituibile per chi desideri immergersi nelle realtà di quei tempi lontani, una sorta di viaggio nella memoria storica e culturale di un territorio a lui caro. Attraverso le sue parole, ci appare quindi non solo un territorio fisico, ma anche lo spirito di un’epoca, con tutte le sue contraddizioni, paure e speranze.

Rutilio Namaziano, vissuto nel V secolo d.C., è comunemente considerato l’ultimo poeta in senso cronologico della tradizione letteraria latina e pagana. Tuttavia, nonostante questa posizione di rilievo, di lui sappiamo molto poco. I dati biografici certi sono estremamente scarni: nato in Gallia – probabilmente a Tolosa, Poitiers o Narbonne – intraprese il cursus honorum a Roma, il massimo riconoscimento politico e amministrativo per un cittadino romano. Suo padre, Lacanio, era un personaggio di rilievo, governatore di Umbria e Tuscia ed è molto probabile che il giovane Rutilio abbia seguito il padre in Italia. Dopo aver completato gli studi, Rutilio si distinse a Roma, dove ricoprì importanti incarichi pubblici sotto l’impero di Onorio: fu magister officiorum nel 412 e praefectus urbi nel 414, in un periodo particolarmente complesso e di estrema difficoltà per la città, segnato dalla devastazione portata dal sacco di Alarico nel 410.

Rutilio è legato in maniera indissolubile alla sua opera più celebre: il De reditu suo. Si tratta di un testo composto in distici elegiaci che racconta il viaggio del poeta da Roma alla Gallia, una rotta compiuta via mare, nell’anno 417 d.C., in un’epoca segnata dalla crisi dell’Impero Romano d’Occidente. La scelta del viaggio non era dettata solo dal desiderio di tornare nella sua terra natia, ma anche dalla necessità di constatare di persona i danni provocati dalle scorrerie barbariche che avevano devastato ampie porzioni della Gallia. Preoccupato per le sorti della sua patria, Namaziano si propone di contribuire alla ricostruzione, consapevole del ruolo che la sua posizione di funzionario gli conferiva. Tuttavia, il viaggio non è narrato nella sua interezza: il racconto si interrompe bruscamente in vista di Luni, alle porte della Liguria, lasciando un’aura di mistero sul destino del poeta e sull’esito del suo ritorno.

Il poema si apre con un inno celebrativo alla città di Roma, che Rutilio considera l’eterna guida morale e politica del mondo. Questa celebrazione non è solo una dimostrazione di fedeltà ideologica, ma riflette il conflitto interiore dell’autore, diviso tra l’orgoglio per la grandezza passata dell’Impero e la consapevolezza della sua irreversibile decadenza. Lo stile è ricco di riferimenti mitologici e culturali, che hanno il chiaro intento di trasmettere il valore universale della civiltà romana anche in un periodo di profonda crisi.

Al di là del valore letterario dell’opera, il De reditu suo è un documento prezioso sotto molti punti di vista. La descrizione dettagliata della costa tirrenica, con i suoi porti, montagne e città, è una fonte straordinaria per comprendere la geografia dell’epoca e le dinamiche del territorio. Ma c’è di più: attraverso gli occhi di Rutilio, possiamo osservare la situazione politica e sociale del tempo, percependo chiaramente il sentimento di decadenza e di smarrimento che permeava l’epoca tardoantica. Rutilio offre una prospettiva privilegiata, quella di un uomo nato in provincia ma divenuto funzionario di alto rango, capace di interpretare i mutamenti dell’impero con una notevole lucidità. Le sue osservazioni, cariche di riferimenti culturali, mitologici e storici, non si limitano a una semplice registrazione dei luoghi, ma li animano con una viva narrazione personale.

Il suo viaggio lungo la costa della Maremma comincia con la città romana di Cosa, una volta prospera ma ormai abbandonata, e prosegue con il porto d’Ercole (portus Herculis) e le alture del monte Argentario, con la silhouette boscosa dell’isola del Giglio all’orizzonte.

La vista delle «squallide mura della deserta Cosa», che si dice essere stata abbandonata a causa di un’invasione di topi, non può fare a meno di suscitare un malinconico sorriso al nostro autore in merito a tale ridicola leggenda. La spiaggia di Porto Ercole è invece associata alla fuga di Lepido, il triumviro sconfitto, che proprio da quel porto tentò di rifugiarsi in Sardegna per sfuggire a Pompeo e Catulo. L’episodio induce Rutilio a una riflessione sulla stirpe dei Lepidi, definita come un seme pernicioso che aveva contaminato Roma con il suo decadimento morale, da estirpare per restituire vigore e dignità all’Urbe. L’autore non si limita a condannare questa specifica famiglia, ma coglie l’occasione per esprimere un più generale rimprovero verso la corruzione e il decadimento morale della società contemporanea, vista come il riflesso di un impero in declino.

Arrivato a Porto Ercole al tramonto, Rutilio trascorre la notte sulla costa per poi riprendere il viaggio alle prime luci del giorno seguente. La sua descrizione della circumnavigazione del monte Argentario è permeata di vivida drammaticità: il mare in tempesta, il vento che cambia continuamente direzione e le rocce frastagliate che rendono difficile la navigazione contribuiscono a creare un’atmosfera di tensione e pericolo. Leggiamo così, nella traduzione italiana di Aldo Mazzolai: «Quando ancora non sono scomparse le tenebre al mar ci affidiamo; spira dal monte vicino un vento propizio. Sul mar si protende il monte Argentario dominando da doppio versante le azzurre sue insenature». La circumnavigazione del monte si rivela particolarmente difficile: «Giriamo tra cale e sporgenze le frante coste del monte a fatica: ci vincon stanchezza e affanno nel manovrare sì a lungo tra seni. Al variar della rotta cambia il vento ogni volta di direzione: le vele utili prima ci sono all’improvviso d’intralcio». In questi elementi, splendidamente resi nei versi elegiaci, si potrebbe leggere una metafora delle difficoltà e dei rischi che Roma e l’Impero stavano affrontando in quel momento storico.

Un giorno intero occorre per superare l’Uccellina e raggiungere la foce dell’Ombrone, tanto che il gruppetto è costretto ad accamparsi sulle dune di San Rocco, stremato, per trascorrervi la notte.

Rutilio Namaziano, con la sua opera, non si limita a consegnarci un’affascinante descrizione della costa tirrenica e della situazione politica del suo tempo, ma offre un’intima meditazione sul rapporto tra uomo e territorio, tra passato e futuro, tra decadenza e speranza. La Maremma, con i suoi paesaggi suggestivi e la sua storia, si erge così a simbolo di una cultura millenaria che, pur nelle difficoltà, continua a risplendere attraverso le parole di uno dei suoi ultimi grandi interpreti. Attraverso la lente del poeta, possiamo intravedere la forza di una civiltà che, nonostante tutto, non smette di credere nel proprio valore e nel proprio destino.

Dall’opera di Namaziano è stato tratto nel 2004 anche un film, De Reditu – Il ritorno, per la regia di Claudio Bondì, che ripercorre il viaggio dell’autore, interpretato dall’attore Elia Schilton, ed è riconosciuto come d’interesse culturale nazionale dalla Direzione generale Cinema e audiovisivo del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.