Luciano Bianciardi
Carlo Cassola

Ribolla

Luciano Bianciardi (1922-1971) e Carlo Cassola (1917-1987): grossetano di nascita il primo, di adozione il secondo. Bianciardi nasce nel 1922 a Grosseto, dove compie gli studi frequentando il ginnasio e poi il liceo classico; in seguito, si iscrive all’Università di Pisa a Lettere e Filosofia. Alla fine del gennaio del 1943, però, viene chiamato alle armi: negli ultimi mesi del governo fascista si trova in Puglia, dove a Foggia assiste al drammatico bombardamento della città; dopo l’8 settembre, invece, si aggrega a un reparto di soldati inglesi in qualità di interprete e si trasferisce così a Forlì.

Ritornato a Grosseto dopo la fine della Seconda guerra mondiale, riprende gli studi universitari e si laurea nel 1948 con una tesi su John Dewey. Dopo aver insegnato inglese per qualche anno in una scuola media, diventa professore di Storia e Filosofia nello stesso liceo in cui aveva studiato, e assume poi il ruolo di direttore della biblioteca Chelliana della sua città. Nel 1954 lascia la Toscana per Milano, chiamato con altri intellettuali provenienti dalla provincia da Giangiacomo Feltrinelli per dare vita alla famosa casa editrice. Già nel 1957, però, viene licenziato dalla Feltrinelli per “scarso rendimento” e inizia così la sua attività da lavoratore autonomo come traduttore e giornalista: nel corso della sua carriera tradurrà ben 120 romanzi e pubblicherà addirittura 964 articoli.

Nel frattempo, si dedica anche alla narrativa: dopo Il lavoro culturale (1957) e L’integrazione (1960), il grande successo arriva con La vita agra del 1962, romanzo pubblicato da Rizzoli in cui, in una Milano pervasa dal boom economico, il protagonista-narratore intravede la grande illusione che si cela dietro quella grande apparenza di prosperità. La fama dell’opera viene amplificata anche dalla trasposizione cinematografica di Carlo Lizzani: il film La vita agra, con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli, esce nel 1964.

Negli anni successivi, Bianciardi abbandona il filone del presente nella sua narrativa e recupera l’amato Risorgimento con La battaglia soda (1964),Aprire il fuoco (1969) e il postumo Garibaldi (1972). Insofferente alla frenesia milanese, nel 1964 si è nel frattempo trasferito a Rapallo, in Liguria, dove rimane fino al 1970. Bianciardi muore nel novembre 1971 a Milano, un mese prima del suo quarantanovesimo compleanno.

Carlo Cassola non è grossetano di nascita, ma d’adozione. Nasce infatti a Roma nel 1917 da genitori molto legati alla Toscana (la madre era di Volterra, e il padre, originario della provincia di Parma, aveva vissuto molti anni a Grosseto). Ultimo di cinque figli ben più grandi di lui, Cassola è un bambino solitario e introverso che si appassiona fin da piccolo alla lettura: Salgari e Verne sono i suoi compagni di avventure immaginarie.

Sempre a Roma, compie gli studi e frequenta il liceo classico. Nel 1933 aderisce al Movimento novista italianodi dissidenza giovanile antifuturista, fondato tra gli altri dal figlio del duce Vittorio Mussolini; nello stesso anno avvia la collaborazione con il foglio studentesco La penna dei ragazzi, dove nel 1935 compie il suo esordio letterario con esercizi poetici.

Già consapevole della propria vocazione letteraria, Cassola opta per studi universitari in Giurisprudenza, che possano lasciargli il tempo per dedicarsi alla scrittura. Dopo la laurea si dedica all’insegnamento, ma già nel 1941 viene chiamato alle armi.

Presto matura la decisione di unirsi all’antifascismo: tra il 1943 e il 1944 entra a far parte della Resistenza con il nome di Giacomo, nella 23ª brigata garibaldina Guido Boscaglia, e opera soprattutto nel Volterrano e nel Grossetano. Dopo la guerra, nel 1948 si trasferisce a Grosseto dove ha ottenuto la cattedra di Storia e Filosofia al liceo scientifico, che manterrà fino al 1971. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono i più prolifici e importanti dal punto di vista letterario: Cassola pubblica Fausto e Anna (1952), Il soldato (1958) e soprattutto i suoi due capolavori, La ragazza di Bube (1960) e Un cuore arido (1961).

La ragazza di Bube vince anche il Premio Strega del 1960 e quattro anni dopo esce la trasposizione cinematografica di Luigi Comencini con una straordinaria Claudia Cardinale nel ruolo di Mara.

Le opere maggiori di Cassola riprendono le esperienze biografiche della Resistenza e della ricostruzione del dopoguerra, e il nocciolo della loro ispirazione consiste nell’interesse per stati d’animo profondi, per le lotte interiori e per gli affetti più personali. Da Einaudi, editore dei maggiori successi, Cassola continua a pubblicare con la cadenza stabilita per contratto, guadagnandosi anche parecchie critiche come autore standardizzato, fatto per i best-seller. Dopo Paura e tristezza del 1971, vincitore tra l’altro di uno Strega straordinario istituito in occasione dei 25 anni del premio, il rapporto con Einaudi si incrina: le successive opere dell’autore sono infatti pubblicate da Rizzoli. E il successo letterario non viene meno: vince nel 1976 il Bancarella con L’antagonistae nel 1978 il Bagutta con L’uomo e il cane, uscito l’anno precedente. Tra narrativa, attività giornalistica e saggistica, muore nel 1987 a Montecarlo di Lucca.

Bianciardi e Cassola iniziano a frequentarsi nei primi anni Cinquanta a Grosseto, quando partecipano alla creazione del Movimento di unità popolare, schierandosi contro la cosiddetta “legge truffa”, legge elettorale proposta da Mario Scelba per garantire un premio di maggioranza del 65% a chi avesse superato il 50% dei voti.

Insieme poi si dedicano a un’inchiesta-reportage sulle condizioni di vita dei minatori maremmani: pubblicata dapprima in una serie di articoli, tra il 1952 e il 1954, su l’Avanti!, poi nel 1954 da Nuovi argomenti, si arriva infine nel 1956 al libro I minatori della Maremma, uscito per Laterza. Il saggio è diviso in due sezioni, la seconda delle quali narra le biografie di diciassette minatori della zona – complete di informazioni sul rendimento lavorativo, sui salari, le malattie professionali e anche l’orientamento politico – ricostruite attraverso un lavoro di documentazione portato avanti dai due scrittori viaggiando e incontrando direttamente i lavoratori.

La prima e principale parte del libro, invece, ripercorre la storia delle miniere di lignite e pirite, per concentrarsi poi sulle condizioni dei lavoratori, tra salari bassi, lotte sindacali, malattie e incidenti sul lavoro. “La miniera di Ribolla fu scoperta nel 1843 e fin verso il 1890 ebbe una produzione saltuaria ed assai modesta, intorno alle 500 tonnellate annue. Nel 1895 furono aperti nuovi pozzi e la produzione salì fino a 24.000 tonnellate annue. Fin da allora si manifestarono incendi e combustioni perché fra le miniere maremmane Ribolla è sempre stata la più difficile e la più tormentata” scrivono Bianciardi e Cassola nei Minatori.

Tra questi incidenti, il più grave e tristemente famoso è quello avvenuto nella miniera di Ribolla nel 1954: il 4 maggio, alle 8 e 40 del mattino, poco dopo l’inizio del primo turno, un’esplosione del pozzo Camorra Sud provocò la morte di 43 minatori. Nonostante le segnalazioni di pericolo da parte dei lavoratori per una scarsa manutenzione del pozzo, infatti, la direzione della miniera non volle sentire ragioni e costrinse i minatori a scendere comunque per il turno. In una lettera a Laterza del 1956, Bianciardi scrive: “La sciagura di Ribolla credo che, nella mia vita, sia uno degli avvenimenti più importanti: dal momento dell’esplosione fino al funerale delle vittime non ho mai lasciato le vecchie case del villaggio. Quella sciagura ha lasciato un segno, in Cassola e in me: il libro è implicitamente dedicato proprio a quelli che sono morti, dei nostri amici minatori.” Tra costoro, emergono personaggi memorabili, su tutti Otello Tacconi, figura che comparirà anche ne La vita agra. “Oggi a Ribolla c’è aria decisa di liquidazione. L’ultima volta che ci siamo andati, nell’agosto del ’55, abbiamo incontrato, proprio all’ingresso del villaggio, l’operaio Tacconi Otello; piccolo, massiccio, a torso nudo, spalava la terra sul ciglio della strada. È stato assunto dall’amministrazione provinciale come stradino, dopo diversi mesi di disoccupazione. Un tempo era stato uno dei migliori operai, e dei più combattivi; lo nominarono segretario della Commissione Interna; poi la “Montecatini” lo licenziò, per avere denunciato sulla stampa e in un pubblico comizio i pericoli della miniera e del tipo di coltivazione che vi si stava conducendo. […] Di recente, proprio in vista del processo per la sciagura di Ribolla, la “Montecatini” lo ha fatto chiamare a Milano, e gli ha promesso “concreti aiuti finanziari” purché dichiari che le sue affermazioni di allora furono determinate dall’ardore del “clima elettorale”. Una dichiarazione di compromesso, come si vede, ed in cambio Tacconi avrebbe avuto la tranquillità e la sicurezza per molto tempo, per sé e per la sua famiglia. Ma Tacconi non ha firmato e non firmerà mai.”

Bianciardi conosceva i minatori di Ribolla, perché il villaggio era una delle mete che lo scrittore, da direttore della biblioteca Chelliana, raggiungeva con il Bibliobus, un furgone che – sulle note di Luci della ribalta – portava i libri nelle campagne, dove altrimenti non sarebbero mai arrivati. Essendo Bianciardi poco pratico di tessere e prestiti, però, molti libri non furono mai restituiti, ma lo scrittore grossetano era convinto: “Meglio un libro rubato di un libro non letto”.